interviste
La Milano di David Chipperfield
La mia prima connessione con Milano è stata quando ho incontrato Magistretti a metà degli anni ’80. Ero il suo architetto locale...
Quando e come è cominciato il tuo rapporto con Milano?
La mia prima connessione con Milano è stata quando ho incontrato Magistretti a metà degli anni ’80. Ero il suo architetto locale per un piccolo ristorante a Londra che stava realizzando. Poi, 15 anni fa, ho progettato un piccolo negozio per Pasquale Bruni e il negozio di Dolce & Gabbana, entrambi in via della Spiga. Dopo aver vinto il concorso per il Mudec nel 2000, è stato un continuo andare avanti e indietro tra Londra e Milano e abbiamo così deciso di fondare qui un nostro studio.
Una o più architetture o monumenti del passato che ami?
Uno dei monumenti è il castello Sforzesco [La Milano dei Monumenti], soprattutto grazie all’intervento degli Architetti BBPR che rappresenta un esempio particolarmente riuscito di architettura museale.
Trovo le architetture della Milano anni ’50 e ’60 speciali: possono essere spiegate attraverso le opere di Ignazio Gardella, come i suoi appartamenti della “Casa al Parco”, vicino alla Triennale o il Museo PAC come anche la Torre al Parco di Vico Magistretti.
Un’attività che spesso fai quando vieni a Milano?
Lavoro. Vivo nella stanza 211 del “Grand Hotel et de Milan”. Alcuni mesi fa con mia figlia abbiamo passato un intero week-end camminando per Milano: questa città è, nonostante tutto, in qualche modo incontaminata. È il posto ideale per passeggiare. Anche la notte scorsa, tornavo dal Giappone, sono arrivato in Hotel e sono uscito per una mezz’ora di passeggiata fino alla Galleria Vittorio Emanuele II e al Duomo.
Un negozio dove acquisti oggetti che trovi solo a Milano?
Alcune volte vado alla boutique di Valentino in via Montenapoleone, progettata da noi. Nonostante questo devo dire che, purtroppo, lo shopping sta diventando molto globalizzato.
Un locale, un bar o un ristorante che apprezzi in città?
Ci sono tre ristoranti dove vado sempre: Torre di Pisa, La Pesa e Al Girarrosto [La Città Minerale].
Una o più tra le architetture recenti che hanno trasformato il volto della città?
Ammiro la nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli [La Città che cresce], progettata da Herzog & de Meuron. Sono riusciti a creare un edificio di altissima qualità che non sia un museo, ma un edificio commerciale. Mi piace anche la Fondazione Prada [Passeggiata per Flaneurs]. Penso che si sia fatto molto per la città, ma devo dire che non mi convincono gli interventi di CityLife [La Città policentrica]. Non sono sicuro sia la giusta direzione per la città: si corre il rischio che tutto diventi sempre più simile a ciò che accade nel resto del mondo. Una cosa di Milano che trovo molto interessante è la struttura urbana con strade ben dimensionate, edifici della giusta altezza e una varietà di architetture diverse tra loro. Infatti c’è un considerevole numero di ottime architetture di tutti i periodi e alcune eccezionali degli ultimi anni ’50 e dei primi ’60. La struttura urbana di Milano è così definita che edifici diversi per periodo e architetture si integrano in maniera sempre convincente. Non è una città esuberante, ma penso sia una città solida e dalle suggestive e potenti qualità. I tetti e le corti sono poi un’altra dimensione di questa città. Ci sono degli atrii e delle scale in cui la dimensione privata e pubblica si incontrano in modo coinvolgente, e questo è unico di Milano.
Cosa manca oggi a Milano?
Dal punto di vista della città Milano ha una perfetta struttura urbana e le persone valorizzano il modo di vivere la quotidianità. Tutte le città dipendono dal proprio “hardware” e dal proprio “software” – le persone che ci vivono e gli edifici nei quali abitano – e penso che i Milanesi vivano la loro città nel modo corretto in cui si dovrebbe vivere una città. A Milano, andare a bere un caffè al mattino o un aperitivo alla sera ha un significato specifico, sono rituali cittadini come andare a fare una passeggiata la domenica. Mi piacerebbe che più città fossero come Milano. Mi viene più facile pensare a come Milano possa esportare le proprie qualità rispetto a quali portare a Milano.
L’unico problema si pone su come Milano possa fare i conti con la modernità attuale, in quanto ha affrontato incredibilmente bene la modernità del dopoguerra.
Allora c’erano architetti come Gardella o Ponti, classici e moderni al contempo; avevano il senso della tradizione, ma erano pensatori proiettati al futuro. I loro edifici sembrano essere perfettamente integrati sia fisicamente che culturalmente. Forse Milano dovrebbe esaminare come ha affrontato la modernità negli anni ’50, ’60 e ’70, piuttosto che guardare come Londra o altre città la stiano affrontando ora attraverso gli investimenti.
La grande sfida per tutte le città ora è come affrontare gli investimenti senza un forte piano urbanistico e penso che questo sia un problema anche per Milano di cui il gran sviluppo recente è mancato di quell’occhio retrospettivo cui era abituata.