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La Milano di Ramak Fazel

Nell’aprile del 1994 ho deciso di lasciare New York per recarmi a Milano. Avevo un piccolo portfolio di fotografie e uno zaino con dentro l’essenziale...

La Milano di Ramak Fazel

Quando e come è cominciato il suo rapporto con la città di Milano:? È legato a un luogo in particolare?

Nell’aprile del 1994 ho deciso di lasciare New York per recarmi a Milano. Avevo un piccolo portfolio di fotografie e uno zaino con dentro l’essenziale. Al mio arrivo alla Stazione Centrale ero entusiasta e pronto all’avventura. Per qualche mese il mio ‘quartiere generale’ fu un albergo a una stella vicino alla stazione.

Ci può dire una o più architetture storiche, o monumenti del passato che ama in maniera particolare? E per quale motivo?

Il Terminal 1 della Malpensa non è considerato un monumento. Per lo meno non ancora. Come hub mondiale è discusso. Si dice sempre che non rispetta gli standard internazionali. La mia opinione su ciò che l’aeroporto della Malpensa rappresenta si è evoluta nel tempo. Si è stratificata su di me. Al di là di qualunque aspetto formale e delle qualità ergonomiche, apprezzo l’aeroporto come cartina di tornasole. Lo Zeitgeist milanese si rivela tramite la comunicazione pubblicitaria, le tendenze della moda e il tasso di cambio euro/dollaro che domina in una certa misura il discorso del commercio e del consumo. Alla Malpensa l’esperienza dell’arrivo e quella della partenza sono sensibilmente diverse. All’arrivo si trascorre del tempo con i passeggeri conosciuti nel luogo di partenza, con i quali si è condivisa l’esperienza del volo transcontinentale. Mi sorprendono sempre le stratificazioni aggiunte (e sottratte) dagli interni originali da parte di Sottsass e Associati. Gli interni sono sempre stati un punto di riferimento. La partenza richiede che i passeggeri si espongano al fuoco di fila dei consumi di lusso prima di raggiungere il punto di imbarco. In occasione di questo viaggio ho notato dei cartelloni dei marchi della moda Billionaire. L’arrivo e la partenza dalla Malpensa sono le parentesi tra cui il viaggio sta racchiuso.

Ci racconta un’attività che spesso fa quando viene a Milano? Intendo un luogo dove torna, un tragitto che le capita di percorrere spesso e con il quale ha familiarizzato o uno spazio dove spende il proprio tempo in città.

Mi piace cogliere al volo scampoli di conversazione. Animano i momenti che trascorro a Milano. Attraverso quelle battute, le stratificazioni della coesione sociale svelano il calore del carattere nazionale italiano. Vivendo nel deserto della California meridionale, questa vivacità mi manca.

C’è un negozio dove acquista oggetti speciali, che trova soltanto a Milano? Qual è?

Qui si parla di consumi. Naturalmente c’è una quantità di cose che si trovano solo a Milano, ma sto imparando ad acquistare cose che mi vanno più o meno bene, su scala più o meno importante, secondo quel che mi viene sottomano. Quando torno a casa a Claremont di solito mi porto cinque paia di tranquilli calzini blu al ginocchio, che trovo solo all’Esselunga.

Esiste un locale, un bar o un ristorante che apprezza particolarmente in città? Se non è legato a una contingenza spaziale, o a una moda, vi è affezionato per la sua storia?

L’ufficio di Poste Italiane alla Malpensa. Chi ci lavora illustra volentieri e con pazienza le più recenti offerte filateliche italiane.

Ci può, infine, elencare una o più tra le architetture recenti che hanno trasformato radicalmente negli ultimi anni il volto della città? Quali sono, secondo lei, gli aspetti più positivi di questa trasformazione?

I grandi edifici che occhieggiano in mezzo ai palazzi, scivolando dentro e fuori dalle prospettive, mi ricordano la mitica coda di Godzilla.

Dal suo punto di vista, cosa manca oggi a Milano? Se potesse trasferire in città un elemento preso da un altro luogo, cosa sposterebbe?

Milano è come un bambino che si arrabbia facilmente, è perfetta così com’è. I difetti e le idiosincrasie fanno parte del suo fascino. Spero che Milano continui a resistere alle trasformazioni che tendono a normalizzare le città verso una condizione media sempre più diffusa.