interviste

La Milano di Ila Bêka

Ho conosciuto Milano da adolescente. Da appassionato di musica partivo dal Friuli per venire a vedere dei concerti al mitico Rolling Stone...

La Milano di Ila Bêka

Quando e come è cominciato il suo rapporto con la città di Milano? È legato a un luogo in particolare?

Ho conosciuto Milano da adolescente. Da appassionato di musica partivo dal Friuli per venire a vedere dei concerti al mitico Rolling Stone. Ne ricordo alcuni straordinari, Mano Negra, Urban Dance Squad, Primus, Lou Reed. Ma potevo venire a Milano anche solo per cercare un disco introvabile. Andata e ritorno in giornata, più di nove ore di treno! Poi durante gli anni dell’università, che frequentavo a Venezia, avevo un amico che si era iscritto al Politecnico di Milano e lo venivo a trovare regolarmente. Viveva alla Barona, che per questo è forse la zona di Milano che conosco meglio… Tre anni fa infine, quando con Louise abbiamo realizzato il progetto Spiriti per Fondazione Prada, abbiamo abitato un po’ nella zona circostante, un quartiere in piena trasformazione. Oggi ormai ci vengo spesso ed è sempre un gran piacere.

Ci può dire una o più architetture storiche, o monumenti del passato che ama in maniera particolare? E per quale motivo?

Anche se non mi piace particolarmente, ho sempre nutrito un particolare affetto per il Monumento a Sandro Pertini di Aldo Rossi; forse anche perché dopo tutte le critiche che ha dovuto affrontare è ancora lì. Non è certo la sua monumentalità che mi attira, ma la speranza progettuale di fare del monumento l’espressione di una volontà collettiva. È nell’ingenuità con cui Aldo Rossi, mio professore a Venezia, lo descrive, “una tranquilla piazza lombarda, un luogo per incontrarsi, mangiare un panino o scattare una foto di gruppo”, che ritrovo la dimensione umana che mi interessa nell’architettura. Tra le architetture milanesi ricordo poi la Casa al villaggio dei Giornalisti di Figini, non tanto in quanto modello dell’architettura razionalista, ma per il suo essere estroversa, esile, aperta al vento e al sole. La Torre Velasca e Ca’ Brutta mi hanno sempre divertito molto. Uscire dalla stazione centrale e trovare il Pirellone, soprannome sublime, di Gio Ponti, mi ha sempre rassicurato. Infine, Santa Maria presso San Satiro del Bramante e il capolavoro assoluto di Milano, il Duomo, che mi lascia sempre incantato.

Ci racconta un’attività che spesso fa quando viene a Milano? Intendo un luogo dove torna, un tragitto che le capita di percorrere spesso e con il quale ha familiarizzato o uno spazio dove spende il proprio tempo in città.

A Milano batto sentieri assai tradizionali, ma a volte mi diverto a perdermi un po’ fra le vie del centro o del quartiere Isola. Un luogo dove sicuramente mi piace andare è lo Studio Museo Castiglioni, lo straordinario contenitore di una vita intera fatta di pensieri, fantasie, giochi, invenzioni. Un passaggio alla Triennale lo faccio sempre, ci sono molto legato, avendoci fatto molte proiezioni dei nostri film. E poi sicuramente la Pinacoteca di Brera. Infine, quando posso salgo su un tram a caso e mi lascio portare.

C’è un negozio dove acquista oggetti speciali, che trova soltanto a Milano? Qual è?

In generale non provo piacere nell’accumulare oggetti, ma ricordo due negozi a cui resto legato. Uno è nascosto fra le vie interne di Corso Buenos Aires e si occupa di libri usati; ci ho trovato sempre dei bei libri e incontrato persone molto sensibili. L’altro, in pieno centro, è specializzato in musica classica e contemporanea e ci si trova davvero l’introvabile. Provo forse un po’ di nostalgia per i negozi di dischi e di libri che stanno scomparendo…

Esiste un locale, un bar o un ristorante che apprezza particolarmente in città? Se non è legato a una contingenza spaziale, o a una moda, vi è affezionato per la sua storia?

Ogni sera, dopo una giornata di riprese alla Fondazione Prada, insieme alla troupe cercavamo luoghi dove poter staccare un po’. Ricordo con piacere di aver trovato questa dimensione sincera e un po’ fuori dal tempo nelle balere, all’Ortica o a Piazza Venezia, tra un ballo e un tiro alle bocce. E poi all’Arci Bellezza, con il suo cortile, i suoi frequentatori fissi e la sua storia cinematografica. Non dimentico infine il chirashi di Shiro…

Ci può, infine, elencare una o più tra le architetture recenti che hanno trasformato radicalmente negli ultimi anni il volto della città? Quali sono, secondo lei, gli aspetti più positivi di questa trasformazione?

Credo che Fondazione Prada sia stata per Milano un progetto culturale e architettonico molto importante, in cui diverse tipologie spaziali dialogano bene tra loro e anche con le opere esposte. Il Bosco Verticale di Stefano Boeri mi intriga molto, mi piacerebbe vedere un film in macro su tutti gli animaletti che lo popolano, lumachine, formichine, uccellini; ci dev’essere un mondo nascosto straordinario là dentro. Questi e altri edifici stanno portando una luce diversa a Milano e confermano che l’architettura è sempre in prima linea nella trasformazione della percezione di una città.

Dal suo punto di vista, cosa manca oggi a Milano? Se potesse trasferire in città un elemento preso da un altro luogo, cosa sposterebbe?

Anche se sono un figlio della nebbia, che amo particolarmente, a Milano presterei un po’ del cielo e della luce di Roma. In cambio di un po’ di energia ed entusiasmo milanese però!